Le vette sono una metafora della ricerca di se stessi

Uno stimolo a misurarsi, una sfida da vincere più con i fatti che con le parole, ma anche un obiettivo che non va raggiunto per forza. Nell’antichità un modo per avvicinarsi a Dio (o a quella che si pensava essere la «Casa degli dei»); nel Medioevo una meraviglia decantata da Francesco Petrarca che svelò come «l’altezza sia poca cosa» rispetto alla passione che mette nelle gambe l’ansia di ricerca; in epoca illuminista meta di spedizioni scientifiche; nel Novecento, scenario bellico inedito per i soldati al fronte. La montagna è da sempre un ambiente ricco di significati. «Affrontandola, esplorandola, ma anche solo percorrendola, ci scopriamo. È la metafora del cercare se stessi. La sua “vicinanza” al cielo o la consapevolezza della fatica che si fa a scalarla, ricorda di continuo all’uomo quali siano i suoi limiti: il non essere né immortale, né divino». Così Sandro Filippini, giornalista e curatore della collana di dvd «Il grande alpinismo – Storie d’alta quota» (realizzata da Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport), con il contributo dell’alpinista Hervé Barmasse, racconta gli ingredienti delle venti imprese trattate nella serie, alla conquista delle vette più ambite del Pianeta.

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