Un Manifesto per il turismo nei borghi
Un Manifesto per il turismo nei borghi
Giancarlo Dall’Ara[1]
Commissione Interministeriale Attrattività nei Borghi
- 1. Turismo nei borghi tra escursionismo e turismo minore
Nel panorama delle offerte turistiche del nostro Paese, il posizionamento dei borghi è stato marginale per moltissimi anni: nell’immaginario dei vacanzieri il prodotto tradizionale era il mare. Il borgo era prevalentemente visto come meta per un’escursione.
Le destinazioni più gettonate, come le località marine o le terme o le città d’arte, consideravano la promozione dei borghi come un’occasione per diversificare l’offerta e, in questo modo, cercare di ampliare il soggiorno medio degli ospiti.
Anni fa ho scritto un libro sulla storia dei borghi nel turismo, e ho evidenziato che alcuni borghi italiani, grazie prevalentemente alle loro risorse storico-paesaggistiche e alla loro collocazione geografica, erano riusciti a superare il posizionamento “meta di un’escursione”, e avevano generato un effetto calamita; erano riusciti cioè ad attirare sempre più turisti, finendo per posizionarsi come città d’arte in miniatura.
Quello che vorrei evidenziare oggi è che, nonostante qualche caso eclatante, l’immagine complessiva dei borghi è rimasta quella collegata alle escursioni e al turismo “minore”; un posizionamento che presenta non pochi limiti per le attività di promozione e di marketing, e più in generale per le strategie di sviluppo. Proprio per questo, molti borghi cercano di superare quel posizionamento, ponendo una maggiore attenzione all’estetica, ai prodotti locali, e soprattutto dando vita a network, creando marchi, alcuni dei quali di grande successo internazionale.
Anche grazie a questa evoluzione, sulla stampa si è arrivati a parlare di «borgomania».
A questo termine però non corrisponde sempre un significato positivo, perché non mancano le critiche sia di chi ritiene che la percezione attuale dei borghi sia fittizia, frutto di una retorica “pubblicitaria”, sia di chi rifugge dall’utilizzo del termine “borgo”, e guarda al buon tempo antico nel quale i borghi si chiamavano paesi.
In realtà “paese” e “borgo” non sono termini intercambiabili: non tutti i paesi sono borghi perché non tutti hanno un centro storico o un centro fortificato, che li qualificherebbe come tali.
Quando poi si usa il termine “retorica” si fa confusione: la “retorica dei borghi” non è altro che il linguaggio pubblicitario utilizzato per promuoverli, quello stesso linguaggio retorico, ahimè, che si usa nel turismo per promuovere qualsiasi destinazione, dal mare alla montagna, alle città d’arte.
Venendo alla situazione attuale, lo scenario vede gran parte dei borghi caratterizzati da un atteggiamento statico, di attesa, o – al più – di replica di quanto è stato fatto in passato, nell’anno precedente.
Periodicamente ci si attiva per accedere a qualche bando, per assemblare una serie di eventi così da proporre un calendario di iniziative agli ospiti, o ci si attiva per prendere parte a qualche fiera o iniziativa promozionale.
Va da sé che un atteggiamento attendista, o di routine, senza una visione chiara del futuro possibile, e senza una strategia conseguente, non è sufficiente a produrre i risultati necessari in termini di sviluppo turistico.
- 2. In tutto il mondo c’è un problema “borghi”
I borghi si spopolano. Vi rimangono ad abitare prevalentemente persone anziane, perché i giovani che vanno a studiare o a lavorare in città raramente fanno ritorno, i servizi diminuiscono, molte case sono disabitate, il numero degli edifici vuoti e abbandonati aumenta…, così l’attrattiva dei borghi si riduce sia agli occhi dei turisti che dei residenti.
Per non parlare dei tanti borghi che sono già diventati “fantasma”.
Questo è quanto vedo accadere, ormai da molti anni, nell’ambito della mia attività professionale in diversi paesi del mondo, dall’Europa all’Asia.
Per fare uscire i borghi da questo circolo vizioso si è cercato soprattutto di andare alla ricerca di finanziamenti che in molti casi, però, hanno finito per generare solo sommatorie di interventi, a volte slegati tra loro, con risultati al di sotto delle aspettative.
In alternativa sono state messe a fuoco delle ricette, che spesso mostrano, oltre ad aspetti positivi, anche non pochi limiti, particolarmente evidenti laddove si è cercato di “museificare”, oppure di “turisticizzare”, o di “urbanizzare” i borghi.
Estremizzando, si tratta di ricette che hanno l’obiettivo di:
- preservare e salvaguardare, finendo invece per cristallizzare;
- aumentare i flussi con servizi su misura per i turisti, finendo col trasformare i borghi in villaggi turistici;
- intervenire in modo da sviluppare format di utilizzo di spazi, ed anche di esercizi commerciali, pensati per le città, con il rischio di snaturarne l’identità.
In altre parole queste ricette, pur con motivazioni molto diverse tra loro, rendono il borgo magnifico allo sguardo e alle visite, ma contengono il rischio di:
- banalizzare gli elementi strutturali distintivi e di carattere del borgo, e di privarli del loro attrattore più importante, l’autenticità;
- o di generare un forte impatto sulla comunità mutando radicalmente il suo stile di vita, i suoi servizi, i suoi riti, i luoghi di ritrovo, il costo della vita…, con il rischio di spingere i pochi residenti rimasti ad andarsene.
Per tutto questo, nell’ottica dei soggetti e degli operatori che si occupano di turismo, i borghi possono essere la grande sfida, e al tempo stesso la grande opportunità, per dimostrare che l’industria del turismo, ad alcune condizioni, ha una capacità rigenerativa “sostenibile”.
- 3. Il mercato c’è
Molte attese di chi va in vacanza nel post-Covid possono essere sintetizzate in poche parole: verde, spazi, relazionalità, scoperta.
Grazie a queste motivazioni l’interesse per la proposta dei borghi è cresciuto al punto da aver generato un mercato enorme.
Anche il “boom” dei cammini, che oggi riguarda centinaia di borghi in Italia, è allo stesso tempo risultato e fattore di diffusione ulteriore di questi nuovi bisogni e nuove aspettative.
Per ora questo “vento favorevole”, non premia tutti i borghi, e soprattutto non ha fatto del turismo la grande opportunità per uno sviluppo equilibrato dell’economia e della vita dei borghi, a causa di un problema che ritengo essenzialmente culturale.
In altre parole, a mio parere, la marginalità turistica dei borghi è diretta conseguenza della loro marginalità culturale.
Di più: mi sembra evidente che ci troviamo di fronte ad un pregiudizio verso i borghi, conseguenza del più generale pregiudizio verso la piccola dimensione che, in quanto tale, è sempre percepita come incompiuta.
Come spiegare altrimenti il fatto che non esista neppure una definizione condivisa di borgo, dalla quale deriva il fatto che non sappiamo neppure quanti siano esattamente i borghi in Italia?
Che il problema sia culturale lo si vede anche dal fatto che di fronte ad un numero sterminato di borghi – per il Censis sarebbero 22mila – sono pochissime le case histories di successo in termini di sviluppo sostenibile.
Ma se siamo di fronte ad un problema culturale è anche perché in tanti borghi si registrano limiti nella conoscenza dei “fondamentali”, indispensabili per lo sviluppo turistico sostenibile, a cominciare dalla mancata consapevolezza che un borgo è un prodotto compiuto.
Considerare un borgo come un prodotto compiuto permette di assumere un’ottica diversa per affrontare il tema dello sviluppo: quella di una destinazione, non solo una tappa, o un luogo di visita o di passaggio.
Se non si è consapevoli che un borgo – grazie alle sue risorse storiche, strutturali, ai legami con l’ambiente e i territori vicini – è in grado non solo di attirare turismo, ma anche di trattenerlo, non resta che il posizionamento di luogo per visite ed escursioni!
Un po’ poco per fare del turismo un volano di sviluppo economico e occupazionale compatibile, e di evitare così gli impatti negativi del modello di sviluppo basato sull’affollamento.
Se tutto questo è vero, il futuro del turismo nei borghi è legato alla diffusione di conoscenze e competenze.
Anche per questo, in accordo con l’Amministrazione Comunale di Subiaco, si è pensato di delineare le linee guida per uno sviluppo turistico sostenibile e rigenerativo dei borghi, e più precisamente di mettere a disposizione dei territori una carta dei valori, un vero e proprio manifesto: uno strumento che sinora è mancato e del quale c’è bisogno.
L’idea alla base del Manifesto è di aprire un nuovo scenario per i borghi, invitandoli a sentirsi protagonisti del loro sviluppo.
La sfida è inedita, perché sino ad ora i borghi hanno affrontato il turismo sul piano degli interventi strutturali e infrastrutturali, delle iniziative promozionali, della comunicazione, della narrazione, degli eventi…, ma si assiste ad una consapevolezza sempre più diffusa che sia necessario andare oltre la promozione e il racconto di storie, oltre i modelli di sviluppo delle destinazioni turistiche tradizionali, e di avviare percorsi di sviluppo sostenibile e rigenerativo. Percorsi che partano dall’idea che un borgo non è una città in miniatura, una città incompiuta e rimasta piccola, è un luogo diverso, un luogo relazionale. La dimensione è solo uno dei suoi tratti, e lo sviluppo dei borghi deve basarsi su una sostenibilità intesa anche come compatibilità culturale delle azioni e dei progetti.
Dedico questo articolo al Sindaco Domenico Petrini, scomparso improvvisamente lo scorso gennaio
L’articolo “Un Manifesto per il turismo nei borghi” di Giancarlo Dall’Ara è stato pubblicato sulla rivista “Piani e Progetti”, INU Edizioni, Roma, gennaio 2025
[1] Presidente Associazione Nazionale Alberghi Diffusi (ADI), Presidente Associazione Nazionale Piccoli Musei (APM).