Ecco come l’Italia frena i turisti cinesi

Scrive il Giornale di oggi 3 agosto: “Secondo Giancarlo Dall’Ara – docente di marketing del turismo e autore del libro Come accogliere i turisti cinesi in Italia – l’Italia scoraggia già alla fonte i turisti di Pechino imponendo complesse procedure per la concessione del visto”.

Vittoria Mancini, presidente dell’associazione Italia-Cina, è sulla stessa linea: «I turisti cinesi continuano a essere molto attratti dall’Italia, ma raccontano di procedure per ottenere i visti assai intricate, che non facilitano l’impresa». Problemi confermati da Valeria Luo una cinese cresciuta in Italia, collaboratrice dei principali tour operator di Shangai. «Qui – racconta Valeria – ci sono troppe domande di turisti per l’Italia e troppo poco personale al consolato per sbrigare tante richieste, quindi bisogna presentare le domande almeno due mesi prima della data di partenza». «Queste osservazioni non sono soltanto esagerate, ma false – insorge da Pechino il primo segretario dell’Ambasciata Italiana Sergio Maffettone. Nel 2011 – spiega a Il Giornale – i nostri consolati hanno rilasciato un quarto di tutti i visti Schengen emessi in Cina. E quest’anno le cifre sono in aumento». Parole confermate dalla Farnesina secondo cui i tempi «dall’appuntamento al rilascio del visto per turismo» sono «in media una settimana» senza «significative differenze tra i visti di gruppo (ADS) e i visti individuali». Secondo il ministero degli Esteri, insomma, i tempi dei nostri consolati sono ormai identici a quelli degli altri Paesi europei «perché legati a procedure standard previste dal sistema Schengen». Dall’Ara, forte della sua esperienza di studioso del fenomeno, sfodera però altri dati: «Un cinese per venire in Italia deve scegliere se attendere due mesi un visto collettivo attraverso un tour operator oppure chiedere un visto individuale. La seconda opzione attira soprattutto i viaggiatori con buona capacità di spesa, ma i nostri consolati impiegano anche tre mesi per accontentarli. Per questo i cinesi si rivolgono alla Germania e poi utilizzano il visto Schengen per venire in Italia. Ma a quel punto hanno già speso gran parte dei soldi. Questo è uno spreco, vista la loro propensione alla spesa». I ragionamenti di Dall’Ara si basano sui numeri. Oggi l’Europa attira circa 3 milioni di viaggiatori asiatici, destinati a diventare 5 milioni nel 2020. Secondo un identikit della Camera di commercio italiana in Cina, hanno tra i 25 e i 54 anni, livello di istruzione elevato e arrivano dalle aree urbanizzate dove si concentra la crescita economica. Hanno insomma portafogli gonfi e sarebbero pronti a svuotarli nel Belpaese «perché – ricorda Dall’Ara – l’Italia è la meta più sognata nell’immaginario del viaggiatore cinese». A conti fatti restiamo però, la terza meta dopo Francia e Germania. La preferenza è anche questione di voli. Alitalia ha cinque voli alla settimana da Pechino a Roma, ma nessun volo diretto su Milano, servita solo da Air China. Quindi per un turista cinese è molto più conveniente arrivare nel nord Italia sfruttando la varietà di scelte offerte in termini di costi e orari degli aeroporti di Francoforte, Monaco e Parigi. «Ma così rinunciamo a un sacco di entrate – sottolinea Dall’Ara -. I 2.800 manager spediti in viaggio premio a Milano in maggio dalla Perfect China, un azienda del Guangdong, hanno speso 4.000 euro a testa di shopping oltre ai 18 milioni di euro pagati dall’azienda». A queste argomentazioni il nostro ministero degli Esteri ribatte ricordando «i circa 130mila visti rilasciati nel primo semestre 2012, con un aumento intorno al 25% rispetto allo stesso periodo del 2011, con punte che a Pechino hanno raggiunto circa il 40%». Questi passi avanti sono per il primo segretario Maffettone «la conseguenza delle modifiche introdotte nel 2010 con l’arrivo dell’ambasciatore Massimo Iannucci, quando la raccolta della documentazione per le richieste di visto è stata affidata, in linea con gli altri Paesi europei, a due agenzie esterne riservando dell’ambasciata solo la fase decisionale».Anche qui non manca la polemica. Nell’innovazione qualcuno individua un possibile conflitto d’interessi in quanto la fondazione Italia-Cina di Cesare Romiti, una delle due vincitrici dell’appalto, ha tra i propri «consiglieri strategici» proprio l’ambasciatore Massimo Iannucci. La Fondazione chiusa per ferie non fornisce chiarimenti. La Farnesina, sentita da Il Giornale, preferisce guardare al sodo e ricorda come i dati «confermano chiaramente che la Fondazione Italia Cina, selezionata secondo le procedure previste dalla normativa vigente, stia facendo un ottimo lavoro». Maffettone, invece, evidenzia da Pechino i risultati economici dell’outsourcing: «Se ogni visto genera affari per 3.000 euro, il nostro lavoro garantisce oggi circa un miliardo di euro d’entrate. Senza considerare i 70 euro a visto che producono 15 milioni di euro all’anno. Quindi le nostre scelte funzionano e generano redditi». Dall’Ara replica ricordando il caso degli Usa, dove le previsioni attribuiscono al nuovo turismo in arrivo da Cina e Brasile la capacità di garantire entro il 2020 850 miliardi di dollari d’entrate e un milione e 300mila nuovi posti di lavoro: «A gennaio Obama, dopo aver visto quelle cifre, intimò di abbassare da tre mesi a tre settimane i tempi dei visti per brasiliani e cinesi. I consolati americani si sono adeguati all’ordine in due mesi. E senza ricorrere ad agenzie esterne».

Commento: al di là delle semplificazioni giornalistiche il mio pensiero è semplice: escono dalla Cina decine di milioni di turisti, e a milioni verrebbero volentieri in Italia. Se i visti che il nostro Paese concede sono 240 mila c’è qualcosa che non va. E più esattamente secondo me non funziona la promozione del nostro Paese e non funziona il sistema dei visti.

http://www.ilgiornale.it/news/interni/cos-litalia-frena-i-turisti-cinesi-827466.html

Intervista di Gian Micalessin

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