Il diritto al viaggio
Il problema di una cultura del turismo e delle vacanze non è nuovo.
I turisti sono circondati da un pregiudizio, sono spesso trattati come sempliciotti o peggio. Nella migliore delle ipotesi i turisti inquinano, impattano negativamente. Le comunità dei residenti sono viste come passive, composte da soggetti spettatori di un fenomeno con il quale invece, se si osserva la realtà, interagiscono e che anzi regolamentano.
A nulla vale sottolineare che “il saccheggio del territorio è un modello del passato”, e che “le motivazioni della domanda sono diventate più amichevoli nei confronti dei luoghi e le esigenze sono orientate sempre più verso la qualità tecnica e relazionale dei servizi di accoglienza”. E’ il solito pregiudizio nei confronti del turismo: ieri Enzensberger lamentava che la sedicente critica del turismo non era nient’altro che “reazione sociale”, una voce a difesa di un privilegio, quello della vacanza di pochi, un privilegio minacciato di annientamento. Oggi il turismo è trattato con sufficienza perché “tanto la promozione farla o non farla non serve, tanto il turismo non è un’alternativa seria per lo sviluppo, non è centrale nelle scelte dei politici…”.
Dunque se vi è chi considera la democratizzazione del viaggio come un fenomeno che “volgarizza il mondo”, se vi è chi considera il turismo come profanazione, se vi è chi rimprovera al turista di banalizzare il mondo, se vi è chi imputa al turista di “folclorizzare” l’autenticità, senza accorgersi che quelle operazioni sono decise dall’industria e dai poteri locali, bisogna ancora lottare per il diritto al viaggio.
(liberamente tratto da “Turismo Sociale, storia e attualità del diritto alle vacanze”, di G. Dall’Ara edito da Panozzo editore, Rimini 2005)